Civitas educationis
09/10/2017
di Marcello Ostinelli, Civitas educationis. Education, politics and culture, anno VI, numero I, giugno 2017, pp. 171-173

Fu nel corso dell'Ottocento che nei programmi scolastici di molti Stati europei venne introdotto un insegnamento civico. Alla scuola pubblica, istituita e diretta dallo Stato, fu così affidato nel modo più manifesto il compito di formare il futuro cittadino. L'attribuzione di questo ruolo alla scuola fu però combattuta da altre istituzioni che pure svolgevano un compito educativo nella società. A opporsi fu in particolare la Chiesa cattolica. Lo studio dell'introduzione dell'insegnamento civico nei programmi scolastici è pertanto un'occasione particolarmente conveniente per comprendere il processo di piena legittimazione del compito educativo della scuola pubblica.
L'attuazione del progetto richiese la stesura di programmi d'insegnamento; l'assegnazione di una dotazione oraria congrua; la scelta di un metodo didattico confacente. Furono però soprattutto i libri di testo, più delle leggi, dei decreti e dei regolamenti e perfino più dei programmi d'insegnamento a determinare il sapere effettivamente trasmesso a scuola. Di quei manuali conta esplorare minuziosamente il testo e il paratesto; conta però parimenti conoscerne gli autori e gli editori; stabilire chi avesse il potere di prescriverli, raccomandarli, commissionarli e eventualmente vietarli; accertare se quelli raccomandati dall'autorità scolastica fossero poi effettivamente utilizzati in classe dagli insegnanti e non lo fossero invece quelli non approvati o addirittura vietati. Ciò vale a maggior ragione per l'insegnamento civico, la cui introduzione nei programmi scolastici fu a lungo contrastata e ripetutamente oggetto di controversie politiche e pedagogiche. Come scrisse Dina Bertoni Jovine esso ebbe 'valore sintomatico' per comprendere il progetto educativo della scuola pubblica; un significato che esso verosimilmente mantiene tuttora.
Un contributo importante alla conoscenza della storia dell'insegnamento civico nella scuola italiana dall'Unità alla fine dell'Ottocento è dato da questo saggio di Anna Ascenzi e Roberto Sani. Nella breve introduzione all'opera essi evidenziano che la storia dell'insegnamento dei "Diritti e doveri del cittadino" (come inizialmente fu denominato) richiede la considerazione di tre diversi "livelli di analisi": il primo riguarda l'insegnamento "considerato alla stregua delle altre discipline", con i suoi obiettivi, contenuti, metodi, libri di testo, ore dedicate; il secondo si riferisce alle caratteristiche peculiari dell'insegnamento, esposto più di altri a "condizionamenti ideologici e politici"; il terzo infine tocca la verifica del divario "tra ciò che è prescritto nei programmi didattici e ciò che è realmente insegnato nelle aule scolastiche" come pure di quello esistente "tra il riconoscimento formale dei diritti e le condizioni sostanziali per il loro effettivo esercizio" (p. 11). Un resoconto esauriente della storia dell'insegnamento civico dovrebbe pertanto considerare i tre diversi livelli di analisi, mostrando ciò che lo accomuna ad altre materie scolastiche e ciò che invece da esse lo distingue.
L'insegnamento civico divenne obbligatorio nella scuola elementare italiana nel 1860. I programmi pubblicati quell'anno prescrivevano la trattazione dei doveri dell'uomo "verso la famiglia e la società", dopo aver esaminato quelli verso Dio. L'occasione per svolgere il tema era data "sovratutto dall'istruzione religiosa", ma anche "da quei capitoli dei libri di lettura che si riferiscono a soggetti morali"; si raccomandava inoltre al maestro di "tenere sempre ben presenti l'età e le capacità dei suoi alunni, evitando accuratamente spiegazioni e discorsi troppo artificiosi e complessi". L'inchiesta predisposta da Carlo Matteucci sulle condizioni dell'istruzione pubblica svolta presso gli ispettori provinciali nel 1864 e pubblicata l'anno successivo attesterà tuttavia che l'insegnamento civico era "tralasciato" o "sfiorato assai superficialmente". Non sorprende pertanto che dieci anni dopo la sua introduzione nei programmi scolastici Aristide Gabelli potesse scrivere che "[p]rima che le scuole elementari costituiscano lo strumento di una vera educazione nazionale pel nostro popolo (...) passeranno ancora lunghi anni". Anche dopo l'avvento al potere della Sinistra storica di Agostino Depretis l'insegnamento civico rimase circoscritto alle "prime nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino". Dei diritti non si faceva menzione. Quanto ai doveri di uomo e di cittadino più che la conoscenza premeva l'abitudine a adempierli, al cui scopo " la disciplina scolastica è lo strumento più poderoso che stia in mano al maestro". L'inchiesta compiuta da Francesco Torraca nell'anno scolastico 1895-96 mostrerà però che poco era cambiato nelle aule scolastiche. La materia era ancora studiata "a memoria" e l'insegnamento era impartito "male quasi dappertutto", nonostante che per renderlo più efficace l'anno precedente fosse staro integrato all'insegnamento della storia d'Italia e della geografia.
Verosimilmente questa immagine che presenta uno "sbilanciamento" (p. 81) del rapporto tra diritti e doveri risulterebbe suffragata da un esame minuzioso dei libri di testo utilizzati nelle scuole italiane dell'Ottocento. Il volume non fornisce questo resoconto; in compenso però pubblica in appendice (pp. 133-163) un ricco repertorio dei manuali per l'insegnamento civico tra il 1861 e il 1900.
Ulteriori informazioni sui contenuti effettivamente trasmessi agli allievi delle scuole elementari si ricavano, indirettamente, dai programmi di studio adottati nelle scuole normali. Al tema è dedicato il terzo capitolo del libro.
Nella formazione magistrale l'insegnamento godette fortune alterne. Nel 1861 Francesco De Sanctis lo assorbì in un corso denominato 'Religione e Morale'; riapparve come insegnamento autonomo nel 1867, ma fu nuovamente integrato nel corso di 'Pedagogia e Morale' nel 1892 e nel 1895 in quello di 'Morale'. I programmi disponevano che nel primo anno di formazione del maestro l'insegnamento civico "resterà puramente occasionale e sarà limitato alle nozioni che hanno relazione con quello di pedagogia". Invece l'insegnamento aveva un'ora dedicata sia nella seconda che nella terza classe, con la trattazione dei diritti e dei doveri "in relazione alla vita domestica e civile in generale e alla parti principali dello Statuto [Albertino]". L'intenzione palese dei programmi del 1895 era di incardinare l'insegnamento civico nella formazione morale del futuro insegnante, conferendogli "una più accentuata curvatura teorica" (p. 56). Malgrado gli sforzi compiuti per migliorare la formazione dei futuri insegnanti i risultati però stentavano a vedersi. Il contesto politico e sociale non era certamente molto favorevole. Un 'regnicolo' più che un cittadino era il suddito di un re. Lo "scarto" tra il modello di cittadinanza sancito dagli articoli dello Statuto Albertino e la sua pratica effettiva fu inoltre una costante di quel periodo (p. 90).
L'idea di cittadinanza attiva cominciò tuttavia a diffondersi nella cultura pubblica dell'Italia unita grazie anche all’introduzione dell’insegnamento dei 'Diritti e doveri del cittadino' nei programmi scolastici, nonostante i suoi evidenti limiti. Furono soprattutto i pedagogisti positivisti a rivendicare la piena legittimità del compito educativo della scuola pubblica e ad attribuire all'insegnamento civico un ruolo fondamentale. Questo fu l'auspicio espresso per esempio da Saverio F. De Dominicis in un fortunato manuale per l'insegnamento dei diritti e dei doveri nelle scuole tecniche (1898, 1899) secondo cui "gli insegnamenti morali e civili dovrebbero costituire il midollo di tutti gli insegnamenti in tutte le scuole".

https://universitypress.unisob.na.it/ojs/index.php/civitaseducationis/index;

Riferito a

Tra disciplinamento sociale ed educazione alla cittadinanza

L’insegnamento dei Diritti e Doveri nelle scuole dell’Italia unita (1861-1900)

Anna Ascenzi, Roberto Sani
Anno: 2016
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