Studi Slavistici
Di Maria Rita Leto, Studi Slavistici XII (2015): 393-428, open access http://www.fupress.net/index.php/ss/article/view/17991/16801
L’Umanesimo dalmata, più di qualsiasi altro Umanesimo europeo, è profondamente legato all’Italia in virtù di quell’osmosi che al tempo toccava ogni aspetto della vita delle città dell’una e dell’altra sponda dell’Adriatico. Centrale, e forse ancora troppo poco valorizzato, il ruolo giocato dalle Marche, poiché, come ha scritto Sante Graciotti, “[i] rapporti tra queste due sponde non si sono articolati in momenti cruciali, ma si sono intessuti in una quotidiana necessitante consuetudine come trama e ordito, così da formare insieme un’unica tela, dove ogni filo è necessario per l’esistenza dell’altro” (S. Graciotti, “Humanae et divinae litterae” tra Marche e Dalmazia dall’Umanesimo al Barocco, in: S. Graciotti, M. Massa, G. Pirani (a cura di), Marche e Dalmazia tra Umanesimo e Barocco, Ancona 1993, p. 4). In un’epoca che non si accontenta più di narrare la storia solo attraverso ‘momenti cruciali’ e che ha messo in radicale discussione i paradigmi assiologici sottesi alla costruzione del canone, sembra quanto mai urgente approfondire lo studio del ruolo giocato dalle “modeste Marche” (ibidem) nelle relazioni interadriatiche. A ciò è stata dedicata la giornata di studio su Tideo Acciarini, interessante figura di “mediatore culturale” tra Marche e Dalmazia, tenutasi presso l’Università di Macerata nell’ottobre 2011, da cui poi è scaturito il volume qui recensito.
Dal medioevo in poi, tra la Dalmazia e le Marche è documentato infatti un intenso traffico sia di merci, sia di cosiddetti “officiali” – podestà, notai, capitani, vescovi e poi anche maestri – che dalle Marche si recavano a lavorare dall’altra parte dell’Adriatico. Ma si compiva spesso il percorso inverso: anche ragusei e dalmati, per paura dei turchi o per seguire meglio i propri commerci, si spostavano a vivere ad Ancona ed in altre città marchigiane.
Non è un caso, allora, che proprio dalle Marche, precisamente da Sant’Elpidio a Mare, provenga l’umanista Tideo Acciarini, noto agli studiosi di letteratura croata soprattutto per essere stato maestro di Marco Marulo (Marko Marulić) e destinatario di un’epistola da parte del sebenicese Giorgio Sisgoreo ( Juraj Šizgorić), Ad Tydeum Acciarinum poetam. All’Acciarini tuttavia, così come ad altri “buoni operai”, quali i fratelli Senofonte e Gian Mario Filelfo o Ciriaco Pizzicolli, va il merito non solo di aver contribuito a diffondere la cultura italiana nelle terre slave, ma anche di aver offerto un punto di vista esterno, uno specchio in cui l’umanesimo italiano si è riflesso attraverso una prospettiva straniante, che ne mette in luce forme e caratteristiche meno consuete. Pur non essendo una figura di primo piano nel patrimonio letterario e culturale italiano, l’Acciarini è infatti uno dei tanti, quasi sconosciuti, tessitori della tela che per secoli si è distesa tra le due sponde, uno di quei personaggi ai quali periodicamente ‘si ritorna’ e che vengono ‘riscoperti’ più volte.
Di Tideo Acciarini sappiamo ancora relativamente poco, ignoriamo le date di nascita e di morte, e di alcuni periodi della sua vita abbiamo notizie davvero scarse: la giornata di studio a lui dedicata ha tentato di illuminare le parti rimaste in ombra della sua biografia e di ricreare, attraverso la fitta rete di relazioni che si incrociano attorno al suo nome, il dibattito culturale del tempo.
Dei cinque contributi che compongono il volume, preceduti dalle parole di saluto dell’ambasciatore croato presso la Santa Sede, Filip Vučak, dalla premessa di Giovanni Martinelli e dall’Introduzione della curatrice, Silvia Fiaschi, due sono dedicati al soggiorno dell’umanista in Dalmazia (Sante Graciotti, Tideo Acciarini nella cornice del Rinascimento adriatico e Smiljka Malinar, Il contesto culturale dalmata e raguseo), uno ai rapporti tra Acciarini e Poliziano (Silvia Fiaschi, Acciarini e Poliziano: percorsi umanistici di fine Quattrocento), uno all’opera principale dell’umanista (Gabriella Albanese, Il De animorum medicamentis di Tideo Acciarini e la trattatistica ‘de principe’ nell’Umanesimo), mentre l’ultimo indaga e porta alla luce alcuni fatti biografici finora sconosciuti (Rosa Marisa Borraccini, Brevi note per la biografia di Tideo Acciarini).
Lo studio di Sante Graciotti inquadra la figura di Tideo Acciarini all’interno di quel che lo studioso definisce “Rinascimento adriatico”, termine felice che supera i confini etnici o nazionali e dà conto del “collegamento sistemico o […] simbiosi” (p. 12) tra la Dalmazia e l’Italia. Una simbiosi che non significa affatto, com’è stato talvolta ritenuto sulla scia dei giudizi spesso trancianti di Arturo Cronia, che la letteratura dalmata fosse mera imitazione dei modelli italiani, priva di qualsiasi originalità e valore, ma indica anzi la compartecipazione, attiva e creativa, allo stesso sistema culturale italiano, che ha permesso la realizzazione in Dalmazia di uno tra i più originali Umanesimi/Rinascimenti europei, e la creazione di una ricca letteratura cinquecentesca trilingue. Ma “[…] al Rinascimento adriatico appartiene la Croazia dalmata, non quella settentrionale continental-danubiana. Si tratta di due aree politico-culturali diverse e soprattutto […] di due diversi Rinascimenti croati, anche se gli studiosi croati tendono, comprensibilmente, a vedere il loro Rinascimento letterario dentro una cornice unitaria” (p. 10). Per questo, Graciotti, toccando ancora una volta la spinosa questione del nome, propone di parlare di “variante dalmata” e di “variante croata” del Rinascimento Adriatico, dal momento che è fuorviante usare categorie nazionali odierne per il passato. Questo saggio inoltre arricchisce la conoscenza della biografia e dell’opera del maestro di Sant’Elpidio, focalizzando l’attenzione sulla poesia che l’Acciarini dedicò all’umanista di Lesina Paolo Paladini, di cui Graciotti ha curato l’edizione del Canzoniere del 1496 (S. Graciotti, Il petrarchista dalmata Paolo Paladini e il suo canzoniere (1496), Roma 2005). Se finora infatti le notizie sull’Elpidiense si fermavano al 1490 (ma il saggio di R.M. Borraccini contenuto in questo volume dà dell’Acciarini notizie successive, che arrivano fino al 1498), ora veniamo a sapere che nel 1496 Acciarini manteneva ancora solidi contatti con il poeta dalmata Paladini.
Il saggio di Malinar è complementare a quello di Graciotti nel descrivere la situazione culturale della Dalmazia al tempo, evidenziando la fitta rete di relazioni e le dinamiche interne all’Umanesimo dalmata, di cui Acciarini, nei vent’anni che trascorse prima a Spalato – secondo I.N. Goleniščev Kutuzov egli sarebbe stato a Spalato già dal 1459 (Il Rinascimento italiano e le letterature slave nei secoli XV e XVI, I, Milano 1973, p. 42), mentre Malinar parla del 1461-1462 (p. 27) – e poi a Ragusa, fu protagonista non secondario. Incerta sembra la sua presenza a Zara come maestro e anche sulle date del suo soggiorno a Ragusa ci sono oscillazioni. Sicuro parrebbe che fu maestro nella Repubblica di San Biagio dal 1477 al 1480. Tuttavia, sottolinea Malinar, l’Acciarini fu solo un anello della catena cominciata prima di lui e continuata dopo di lui, inserendosi in una tradizione umanistica dalmata già avviata da altri e che si andava sviluppando parallelamente a quella italiana e, val la pena aggiungere, anche precedentemente a quella di alcune regioni italiane. Seguendo il percorso esistenziale dell’Elpidiense, infatti, dopo Ragusa lo vediamo primo maestro umanista a Cosenza, dove fonda una scuola e si rammarica con Poliziano della sorte che lo aveva portato tra i Bruzi. Di questo periodo della sua vita, tra il 1480 e il 1490, si occupa Silvia Fiaschi nel saggio che analizza la corrispondenza dell’Acciarini con Angelo Poliziano e le menzioni del maestro da parte del suo allievo italiano più famoso, il calabrese Aulo Giano Parrasio. I documenti presi in considerazione non solo permettono nuove ipotesi sui movimenti e i contatti dell’Acciarini, ma soprattutto rivelano “la fisionomia non di un vecchio maestro di scuola, ma di un precettore che dimostra di stare al passo con i tempi” (p. XIV).
Analogamente, Gabriella Albanese, esaminando i giovanili Carmina, dedicati ad Alessandro Sforza e ai suoi figli, e in particolare il senile De animorum medicamentis, dedicato a Giovanni delle Asturie nella speranza di ottenere un incarico di precettore di corte, sottolinea come le uniche due opere di Acciarini a noi pervenute siano testimonianza degli interessi dell’autore per i generi letterari in voga nella produzione dell’Umanesimo di corte. Albanese, sulla base dei due testimoni manoscritti del De animorum medicamentis, identifica quello autografo e auspica, pertanto, la necessità di una nuova edizione, poiché l’unica esistente, a opera di Francesco Lo Parco (primo biografo e studioso di Acciarini), risulta imprecisa. Infine, il saggio di Borraccini, sulla base di nuove testimonianze documentali, dà conto di un misterioso arresto di Acciarini a Loreto nel 1495 e dei suoi continui, sia pure sporadici, contatti con la città d’origine, documentati fino al 1498.
I cinque saggi di questo ben calibrato e accurato volume da una parte colmano lacune e correggono imprecisioni, dall’altra sono un invito a proseguire le ricerche, anche d’archivio, sul maestro. Se Graciotti suggerisce di indagare più a fondo i rapporti con Paladini, sarebbe interessante anche approfondire l’eventuale influenza su Marulo, così come accertare se Acciarini conoscesse davvero il greco che, secondo Giuseppe Praga, avrebbe insegnato allo stesso Marulo. Si potrebbe così arricchire il quadro di un’epoca in cui il culto delle humanae litterae diede vita a quel potente movimento umanista-rinascimentale che partendo dall’Italia si diffuse in tutta Europa.;
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- 13/02/2017 - Dubrovnik Annals - Vedi