Fillide
24/05/2022
Segnalato da Luisa Bertolini, Fillide. Il sublime rovesciato: comico umorismo e affini, numero 24, aprile 2022

La figura femminile in posizione oscena in copertina è una scultura romanica posta su un capitello, a lato di una finestra, dell’abside di una chiesa del XII secolo, la Collegiata di San Pedro a Cervatos in Cantabria, decorata anche da altre scene erotiche e grottesche. L’accostamento di sacro e osceno nella declinazione del comico è il filo che tiene insieme gli articoli e gli interventi che Massimo Bonafin segue da sempre e raccoglie in questo libro.
Il primo capitolo è dedicato a Iambe/Baubò nell’Inno omerico a Demetra e nelle successive varianti. L’esibizione oscena della vulva che induce a una risata liberatrice è presente, secondo Bonafin, anche in altre tradizioni folcloriche e letterarie, persino in oriente, nel mito giapponese di Ame-no-uzume che scoprendosi suscita il riso degli dèi e il ritorno della dea del sole e della luce. Questa ricerca delle analogie e delle discrepanze, delle somiglianze e delle differenze tra tradizioni così lontane richiama l’antropologia del riso di Fabio Ceccarelli che l’autore aveva già analizzato in Contesti della parodia. Semiotica, antropologia e cultura medievale (Torino, Utet, 2001).

Un altro riferimento di Bonafin nell’analisi della parodia medievale, in particolare del poemetto eroicomico del XII secolo, il Voyage de Charlemagne, è il meccanismo della burlesca incoronazione e scoronazione del re del carnevale studiato da Bachtin. In questo caso però l’autore suggerisce alcune osservazioni critiche che riconducono la parodia al concetto di coridenti di Ceccarelli, ai comportamenti etologici di dominanza e sottomissione, archetipo presente, secondo l’autore, ad esempio nella scena evangelica dell’irrisione da parte dei soldati di Gesù “re dei Giudei”. Così il carnevale nella cultura cristiana non rappresenta uno sfogo, l’osceno nella parodia dei testi religiosi non è laicismo: i travestimenti, i rovesciamenti, la maschera sono piuttosto, secondo Bonafin, l’indicazione di un altro mondo possibile, il momento in cui il comico attinge al sacro.
Tra gli altri temi del libro – tra i quali il miracolo di santa Agnese nel teatro occitano, il tempo e la durata nelle visioni dei viaggi nell’aldilà, i racconti cinesi di volpi e fate – la disamina del romanzo di Renart la volpe ne costituisce la parte principale. Com’è noto anche ai lettori di questa rivista (cfr. l’articolo di Mattia Cavagna scacchi-amari-gioco-e-violenza-nel-roman-de-renart/), non si tratta di un romanzo nel significato moderno del termine, ma di una raccolta di favole satiriche in antico francese che risalgono ai secoli XII e XIII e che hanno come protagonisti gli animali. I principali sono la volpe Renart, capace delle astuzie e degli inganni più incredibili, il lupo Ysengrin, incarnazione della forza bruta, e la moglie lupa Hersent, e costituiscono una parodia zoomorfa della cavalleria, della vita cortese, di tutta la società feudale e insieme, secondo Bonafin, degli archetipi antropologici dell’inganno, della lotta per la sopravvivenza e della sessualità. La volpe Renart si trasforma continuamente, si tinge di giallo e di nero, si maschera da giullare, si traveste da mago e diventa persino imperatore, sembra morire più volte, ma rinasce sempre di nuovo; è l’archetipo del trikster furfante e dispettoso, insaziabile e randagio, capace di sedurre, di raggirare, soprattutto attraverso l’uso del linguaggio, analizzato dall’autore nei suoi diversi giochi retorici. L’esposizione del contenuto della branche 7 rivela un eccesso di oscenità davvero grottesco: Renart, battuto e rincorso dai monaci del monastero dove aveva mangiato galline a sazietà, prima di nascondersi in un covone, formula una pregheria parodica a base di peti e maledizioni e si rivolge irriverente a Dio al quale chiede di proteggere i malvagi. Al mattino inscena una finta confessione con il nibbio Hubert cominciando a spiegare perché, per pentirsi delle sue malefatte – essendo stato spergiuro, scomunicato, sodomita ed eretico –, non si è fatto monaco («non so parlare latino, e mangio volentieri al mattino», vv. 365-366). Grottesca la descrizione della vita troppo austera dei monaci che però farebbero a gara per copulare con una donna che capitasse in mezzo a loro. A questo segue l’esaltazione dell’organo sessuale della lupa Hersent, il piacere di pronunciare il nome dell’organo femminile e la risposta clericale del nibbio che culmina con «la descrizione grottesca, ripugnante ed esagerata, del suo organo sessuale, fonte della sua lussuria, sempre aperto, pozzo senza fondo» che evoca addirittura la voragine infernale (p. 210); la replica di Renart è la confessione di numerosi crimini a cui seguono altre provocazioni. Il poeta presenta così il completo rovesciamento dei principi della poetica medievale, assegnando l’astuzia al peccatore e affidando al confessore un’identità ambigua resa nell’eccesso della volgarità della parola, vicina – scrive Bonafin – ai temi dei fabliaux.

La traduzione italiana di una parte di questi testi si deve proprio a Massimo Bonafin in Il romanzo di Renart la volpe (1998, branches 1-5a), in Vita e morte avventurose di Renart la volpe (2012, branches 7, 12, 17, 24) e infine in Le metamorfosi di Renart la volpe del 2021 (branches 1b, 23, 22, 11), sempre nella collana Orsatti delle Edizioni.

https://fillide.it/il-comico-il-sacro-losceno-e-altri-nodi-della-letteratura-medievale/

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Riferito a

Il comico, il sacro, l’osceno

e altri nodi della letteratura medievale

Massimo Bonafin
Anno: 2021
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