La Sicilia
29/09/2016
di Andrea Bisicchia, 13 ottobre 2014

Lo studio di Luca Cobbe: ”Il governo dell’opinione. Politica e costituzione in David Hume”, Edizione dell’Università di Macerata, non è un ennesimo contributo per approfondire il pensiero politico di Hume, bensì qualcosa di diverso, perché il filo conduttore della ricerca intende dimostrare come l’idea di opinione (doxa), presente nella speculazione di Hume, possa contribuire al funzionamento e alla stabilità di uno Stato, avendo, il filosofo scozzese, ben capito, quanto, al di là dell’importanza della costituzione, fosse incerto l’equilibrio di uno Stato repubblicano se incapace di intercettare l’opinione mutevole dei cittadini, se non la previene per evitare di rendere precaria la governabilità. Hume era convinto che da quando, nel mondo anglosassone, si era affermato il regime parlamentare, attento a dialogare con le opinioni dei cittadini, il commercio, le manifatture, l’agricoltura, l’industria, avessero ottenuto un notevole incremento, favorito da una perfetta armonia costituzionale tra le forze politiche e quelle sociali. Hume dice qualcosa di più e di molto diverso, ovvero che lo sviluppo culturale di un popolo dipende dalla capacità di ascolto da parte dei governanti. Luca Cobbe conosce interamente l’Opera di Hume, nella sua ricerca, spesso, mette a confronto i suoi contributi con quelli di illustri studiosi, in particolare, con quello di Giuseppe Giarrizzo, al quale dobbiamo, forse, il primo studio veramente approfondito in Italia: “David Hume politico e storico”, Einaudi, 1962. Cobbe accetta molte delle sue tesi, anche quelle che riguardano la contraddittorietà fra elementi liberali e conservatori, sebbene, a suo avviso, il vero merito di Giarrizzo fosse stato quello di aver fatto conoscere al lettore la storia politica del secolo illuminista in cui Hume ebbe modo di trasformare le sue idee in trattati, con la consapevolezza di trovarsi dinanzi a una società in continua trasformazione, grazie al processo di transizione tra capitalismo commerciale e capitalismo industriale, del quale egli osservava le contraddizioni e le rapportava alle forme di governo. Simili contraddizioni stavano a base del suo stesso pensiero, tanto da rendere difficile capire il suo parteggiare tra Stato e cittadini, tra ragione e passione,tra società aperta e società chiusa. La modernità di Hume, però, secondo Cobbe, non va cercata in simili contraddizioni, quanto nella lucidità avveniristica di certe sue osservazioni, nel suo procedere a vasto raggio,come risulta dai suoi saggi sulla morale, sull’intelletto umano, sulla religione naturale. Egli era contro i saperi astratti, contro le idee innate, contro la causalità, da cui deriverebbe il suo ben noto scetticismo, contro la stessa ragione, se non è corroborata dal sentimento. Hume credeva, soprattutto, nell’opinione, nel consenso e nella morale, il cui dovere può essere infranto solo se a beneficiarne fosse lo Stato.;

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