Bruniana & Campanelliana. Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali
Guido Giglioni, rec. in «Bruniana & Campanelliana. Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali», 24 (2018), pp. 602-605.
Segnaliamo alcuni brani della vasta recensione che Guido Giglioni ha dedicato al libro. La recensione completa si può trovare nel sito: Fabrizio Serra editore, Pisa-Roma: http://www.libraweb.net/
Variazioni dacostiane ci restituisce un’immagine lucida e misurata di Uriel da Costa (1583-1640), pensatore ebraico vissuto in età moderna tra Porto, Coimbra, Amburgo e Amsterdam, depurata da cliché agiografici e celebrazioni piuttosto paludate di tetri martirii laici […]. Lontana da strilli e proclami, l’analisi del volume si incentra su una lettura analitica e penetrante dell’Exame das tradiçoẽs phariseas (1624), di cui l’autore ha già pubblicato nel 2014 il testo critico, la traduzione e un ampio commento. L’Exame, nato come una risposta al Tratado da immortalidade da alma (1623) del medico ebreo, residente ad Amburgo, Semuel da Silva (c.1570-1631), da questi composto per confutare le tesi anti-farisee di Da Costa, contiene una difesa rigorosa e insieme appassionata della Legge di Mosè, contro le distorsioni farisee e cristiane. Il nucleo concettuale del trattato è costituito da una radicale negazione dell’immortalità dell’anima e da una critica serrata della credenza in un sistema di punizioni e retribuzioni ultraterrene, che Da Costa considerava essere all’origine di un secolare declino civile e politico delle società umane. L’immagine dell’Exame che emerge da Variazioni dacostiane è quella di un poderoso congegno argomentativo, basato su prove razionali, naturali e scritturali.
Lo studio è diviso in tre parti: «Intrecci di fonti dell’Exame dacostiano», dove Proietti delinea il suo approccio multi-testuale concentrandosi in particolare sul Somnium Scipionis, la Biblia de Ferrara, Abner de Burgos e Camões; «Fonti teologiche e filosofiche», in cui si esaminano i principali luoghi dell’analisi dacostiana dal punto di vista medico-teologico; «Fonti storico-letterarie e linguistiche», in cui la prospettiva è più dichiaratamente lessicale e letteraria. Nell’analisi di Proietti, il termine variatio è parola chiave e insieme chiave interpretativa del testo dacostiano. Il libro è infatti uno studio organizzato intorno a una serie di variazioni sul tema della corporeità della vita (esaminata a vari livelli: filosofico, esegetico e teologico). Nello stesso tempo, vengono indagate varianti filologiche e le numerose stratificazioni di fonti e allusioni che costituiscono il tessuto composito della scrittura dacostiana. Va infine anche ricordato il significato di varietas come instabilità e precarietà delle umane sorti, e quello retorico di varietas come diversità dell’esperienza e farrago (un senso del termine che autori diversi come Angelo Poliziano e Girolamo Cardano avevano già trasformato in strumento di analisi critica della realtà naturale e umana).
Il nucleo teoretico di Variazioni dacostiane riguarda il tema della materialità della vita. Proietti argomenta molto persuasivamente come tra i principali intenti di Da Costa vi fosse quello di dimostrare come Dio agli inizi dei tempi avesse creato una natura eterna a partire dalla materia. Si tratta di un tesi di grande densità teologico-filosofica, con illustri precedenti e tradizioni a sostegno, come l’autore illustra in vari luoghi del libro. Innanzittutto, […] per materialità si intende la lettera del dettato biblico, di per sé significante e non legata a una spiritualità allegorizzante, che il più delle volte è superflua, quando non ideologicamente fuorviante. Da Costa dimostra infatti che la precisione della lettera è il miglior antidoto contro le razionalizzazioni spesso equivoche dello spirito. Un altro aspetto dell’attenzione dacostiana agli aspetti materiali della vita, che l’autore esamina con particolare precisione e competenza, è la difesa di Da Costa della posizione traducianista contro la dottrina della pre-esistenza delle anime e quella del creazionismo. Proietti dimostra come non a caso il traducianesimo veterotestamentario, in una linea cha va da Agostino a Lutero, potesse essere usato in funzione esegetica e divenire addirittura compatibile con le ragioni dell’anima e della resurrezione dei corpi. Strettamente legato al tema della riproduzione è quello della fisiologia del sangue, al quale Variazioni dacostiane riserva delle pagine illuminanti, in un arco di tempo che va dalla Bibbia e i presocratici a Michele Serveto […].
Materialità significa poi un tipo di provvidenzialità divina che si identifica con il corso immanente della natura e della storia, una sorta di eternità del mondo riletta in chiave biblica, dove todos os dias da terra vuol dire tanto la perpetuità dell’ordine garantita dalla legge divina quanto la capacità della materia di auto-organizzarsi seguendo le istruzioni impartite da Dio al momento della creazione. Nella visione cosmo-teologica di Da Costa, un’unica virtù seminale si estende a tutto l’universo; essa assicura alla natura un’ininterrotta produttività in cui si identificano Dio, legge naturale e ragione. A ciò si connette il tentativo di Da Costa di interpretare diversi luoghi biblici […] in modo che essi confermino l’eterna permanenza del creato e soprattutto impediscano possibili derive in chiave messianica e apocalittica – un punto che è eloquentemente riassunto dall’autore a p. 435: «L’Exame rigetta l’intera tradizione ‘fariseo-cristiana’, poiché essa trasforma l’inesistente Apocalisse del giudizio celeste di Dio nelle “sante” Inquisizioni di ogni umana, troppo umana tirannia teologico-politica sulla terra».
Proietti sottolinea in particolare le implicazioni politico-sociali che, secondo Da Costa, erano strettamente associate alla dottrina dell’immortalità dell’anima. In questo senso, sostenere che le facoltà mentali di ogni singolo individuo potessero continuare ad esistere anche nell’aldilà, oltre ad essere assurdo dal punto di vista della logica e della fisica del tempo, comportava delle conseguenze deleterie a livello della convivenza civile di una particolare società: la fondamentale irrelevanza della vita terrena, un sistema di pene e retribuzioni basato sull’abilità di conformarsi a norme imposte dall’esterno, e un senso diffuso di ansia e paura. La negazione dacostiana della persistenza indefinita del pensiero individuale degli esseri umani lo avvicina certamente a un certo averroismo di carattere teologico-politico sensibile ai pericoli di deriva autoritaria, per il quale occorre bandire la lex religiosa in quanto questa, con la complicità dell’immaginazione, alimenterebbe un serbatoio di illusioni facile preda di violenze sociali e oppressione politica. La posizione di Da Costa si differenzia invece da un certo averroismo di ritorno (direi quasi più frivolo) caratteristico dell’epicureismo libertino, per il quale la dottrina dell’immortalità dell’anima e della resurrezione dei corpi è uno strumento utile al mantenimento della stabilità sociale. La legge, insiste invece Da Costa riferendosi all’esempio di Mosè, non richiede affatto la credenza in un destino ultraterreno dell’anima. La visione della morte come liberazione dell’anima dagli affanni terreni nutre piuttosto un sogno di felicità fittizia, il cui potenziale energetico può però essere manipolato da gerarchie politiche e sacerdotali senza scrupoli. Da Costa rigettava la dottrina dell’immortalità dell’anima come l’espressione di una civiltà della morte, che inneggiava alla violenza e alla guerra – «il nesso etnologico tra barbarie, ferocia guerriera e dottrina dell’immortalità», come è ben sintetizzato da Proietti (p. 260).
Variazioni dacostiane è un libro colto, che non cade mai nelle secche dell’erudizione fine a stessa. Nel suo essere storia di un libro, lo studio delle fonti, delle allusioni e dei tanti sedimenti della tradizione acquista un valore che va al di là di citazioni dotte e indagini bibliografiche. Esso piuttosto ci ricorda che le idee si trasmettono non direttamente da mente a mente (come gli angeli, di cui Da Costa negava l’esistenza, son soliti fare), ma solo ancorandosi caparbiamente al fragile supporto di un materiale, sia esso parola, immagine, scrittura, segno, memoria o testimonianza (monumentum). Da questo punto di vista, l’analisi condotta nel volume resiste alla tendenza inevitabilmente atomizzante caratteristica di certa Quellenforschung per rintracciare invece le totalità di significato che connettono idealmente il mondo dacostiano agli universi culturali di Origene, Galeno, Camões, Pomponazzi e Serveto, per citare solo alcuni dei tanti complessi di idee che vengono scandagliati nel libro. Con una scrittura limpida e asciutta, il volume dimostra chiaramente di essere il risultato di ricerche ampie e meditate. Degne di particolare nota sono le numerose competenze linguistiche che l’autore impiega nel corso delle sue analisi.
Variazioni dacostiane è un’utile risorsa per studiosi del pensiero ebraico e la sua trasmissione dal Medioevo all’età moderna, e per chi ha interesse a indagare aspetti poco noti dell’averroismo seicentesco. È inoltre un contributo prezioso alla storia della letteratura portoghese del Rinascimento e del Seicento. Per il modo in cui è condotta l’analisi dell’opera dacostiana, gli studiosi dell’esegesi biblica della prima modernità non mancheranno di apprezzare la richezza di informazioni contenute nel volume. Gli storici della filosofia, infine, scopriranno come una serie di elementi determinanti del pensiero ebraico sefardita medievale e rinascimentale venisse a cristallizzarsi in età moderna in dibattiti teologici e filosofici riguardanti il destino di varie correnti antitrinitarie e sociniane. ;
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