Recensione di Salvador Spadaro, allievo della Scuola di Studi Superiori Giacomo Leopardi - Università di Macerata
Il libro dal titolo Il comico, il sacro, l’osceno, che ha per autore Massimo Bonafin, già docente dell’Università di Macerata, ora professore ordinario di Filologia romanza all’Università di Genova, si struttura in tredici capitoli che derivano da altrettanti testi fra articoli, atti di convegni e saggi, qui raggruppati per affinità di argomento. Di fatto, già le prime pagine offrono una panoramica che spazia da esempi provenienti dall’Antico Egitto, come quello di Hathor e suo padre, sino a personaggi e temi del folklore giapponese, rappresentati da Ame-no-Uzume, passando per i celebri episodi della mitologia greca che riguardano Demetra e Iambe, a seguito del ratto di Persefone.
I primi due capitoli sono caratterizzati da una prospettiva generale, benché non generica. Il capitolo inaugurale del testo, concordemente con quanto ci si era proposti nella premessa, si apre con la triade osceno-risibile-sacro, esemplificata dalla contraddittoria espressione “esibire il nascosto”, che mette in luce l’aspetto d’infrazione di una norma implicato dalla violazione di un tabù. Qui si esamineranno i casi già citati del personaggio di Iambe/Baubò ed esempi meno noti di esposizione dei genitali nelle mitologie, anche distanti fra loro, al punto da congetturare una radice poligenetica del mitologema.
A distinguerlo dal primo, il secondo capitolo possiede un impianto maggiormente teorico e, dopo aver messo in luce la svalorizzazione estetica del comico che ha caratterizzato l’età moderna, con particolare riferimento ai formalisti russi Šklovskij e Tynjanov, nella relazione che questi vedevano tra parodia e comico, e a Tomaševskij nell’uso di attacco ad altre scuole letterarie, prosegue avvicinando il concetto del riso, per com’è presentato nei testi letterari, a una “teoria bio-sociale”, così da riconoscere una struttura a tre ruoli.
A seguire, nei capitoli terzo e quarto, diversamente dai precedenti, si assume una prospettiva più ristretta e specifica che privilegia come spazio di ricerca quello delle letterature gallo-romanze. Nel terzo capitolo, dedicato alle demitizzazioni dell’avventura cavalleresca, si ritrovano due esempi, quello del Roman de Renart e quello del Joufrois de Poitiers. Di questi si esamina con particolare cura l’aspetto dell’aventure che, inglobando ed espletando gli antagonismi venutisi a creare all’interno del mondo cortese, rappresenta la rottura che separa il cavaliere errante nella sua queste dalla collettività feudale, per essere poi letta nell’ottica di una demitizzazione che la relega a un orizzonte di assoluta immanenza.
All’interno del capitolo quattro si esamina il Miracolo di Sant’Agnese, anche detto Mistero, ovvero il più antico testo di teatro occitano pervenutoci, con particolare riferimento alla scena di denudamento della fanciulla, capace, ambivalentemente, di dar vita e morte. Si sottolinea soprattutto che nel teatro agiografico non si ritrova un mero oggetto letterario, ma il riflesso di una confessione religiosa che, per tanto, intrattiene profondi rapporti con elementi rituali e di culto, in questo caso rappresentati dalla nudità della donna.
Il quinto ed il sesto capitolo, come si era già anticipato, hanno come argomento principe quello del tempo e della sua rappresentazione.
Il quinto, con l’esplicito intento di coniugare i due ambiti della scienza e della letteratura, si serve del concetto di cronotopo nella trattazione dei viaggi medievali nell’aldilà per mostrare le differenze di percezione fra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Il sesto capitolo, più incline alla culturologia, richiama i precedenti studi in materia come quelli di Lotman e di Bachtin, sottolineando l’uso improprio di termini ormai consueti come quello di folklore, in opposizione alla cultura alta e di come queste due categorie siano sempre relative alle convenzioni sociali in vigore.
A conclusione ideale della prima parte del volume, il capitolo numero sette pone l’accento sulla possibilità di un orizzonte interdiscorsivo che ha per oggetto le somiglianze fra il Voyage de Charlemagne e il Digenis Akritas e, più precisamente, un’analisi comparativa del motivo del vanto dei guerrieri, alla quale sottende una riflessione sul metodo nel confronto fra medioevo romanzo e orientale.
La seconda parte, definita dall’autore stesso come sestetto renardiano, a differenza della prima, espone una serie di riflessioni e di ricerche che ruotano, appunto, attorno al Roman de Renart. Come precedentemente enunciato nella premessa, questo testo fa infatti da filo conduttore ai capitoli dell’intero volume in numerose modalità, che si tratti dell’analisi di modelli antropologici e letterari, come è nel caso dello studio dedicato al trickster o come accade ancora nella comparazione su larga scala della figura della volpe, costituendo così il contrappunto naturale per la completezza di questa raccolta di studi, nei quali si ravvisa la particolare attenzione dedicata alla zooepica antico francese, trattata già nel primo capitolo della seconda parte del libro in opposizione alla favolistica. Seguono poi un confronto fra i personaggi di Tristano e Renart, alla luce del medesimo modello antropologico del trickster e, quindi, sulla retorica dello stesso. Nell’undicesimo capitolo si ritorna invece sul rapporto che intercorre tra Oriente e Occidente, e sulle immagini e caratteristiche comuni con cui questi raffigurano la volpe. Gli ultimi due, come a chiusura di un cerchio identificato dai tre elementi del titolo, riprendono i temi della satira.
Il presente volume si configura come un’agile raccolta di riflessioni e di ricerche ad ampio raggio, nelle quali si può sempre apprezzare un orizzonte comune, ovvero il tentativo di porre scienze apparentemente distanti nella condizione di cooperare, come si evince dall’uso di strumenti concettuali appartenenti a discipline non esclusivamente letterarie. Questo taglio, che, senza ridursi alla teoria, applica le suddette riflessioni ai fenomeni letterari del medioevo, costituisce una delle cifre più pregevoli del contributo, poiché evidenzia il funzionamento di una fase critica della ricerca: la messa in pratica degli strumenti concettuali prima menzionati. La portata generale delle riflessioni qui descritte, pertanto, non si esaurisce nello specialismo fine a sé stesso, bensì investe un’ampia sezione di interessi che coinvolge i non esperti in materia, quale la configurazione del rapporto fra i testi e la tradizione e le virtuali implicazioni sulla contemporaneità di alcuni dei fenomeni presi in esame.
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