NOEMA
10/01/2018
“La scrittura, il cervello e l’era digitale / Writing, Brain and Digital Age”, di Giorgio Cipolletta, NOEMA, http://noemalab.eu/ideas/essay/la-scrittura-il-cervello-e-lera-digitale-the-writing-brain-and-digital-age/

La scrittura, il cervello e l’era digitale: connubio poetico e marginale
Una piccola riflessione su un saggio di John Picchione

La letteratura di John Picchione con il suo saggio La scrittura, il cervello e l’era digitale edito da eum (Edizioni Università di Macerata) diviene terapia. Lo studioso italo-canadese ci offre un incontro straordinario con menti che ci invitano a tenere un rapporto energico con un universo umano complesso e mai del tutto senza minacce. Il docente di letteratura critica e cultura italiana moderna e contemporanea presso la York University (Toronto, Canada) invita i giovani (i nativi digitali) a riflettere criticamente sull’esperienza contemporanea che vivono. La realtà descritta da Picchione sembra ovattata, destabilizzata, causa le nuove tecnologie.
Quali sono gli effetti della tecnologia sulla scrittura, sulle pratiche pedagogiche e sullo sviluppo del sistema neurale? John Picchione disegna un panorama preoccupante come l’impoverimento culturale, lo svuotamento delle possibilità cognitive dell’attività critica e letteraria e la svalutazione della parola (realtà “linguaggizzata”). È proprio il linguaggio-labirinto a tessere la trama in questo tascabile da portare con sé, riflettendo sulle costruzioni fittizie, illusioni mascherate da verità. Se vogliamo, Picchione anticipa uno dei temi della nostra contemporaneità, il rapporto tra vero-falso, quello che Orson Welles registrò in un suo film indimenticabile F for Fake. Quando il falso è talmente falso che si trasforma in vero, allora forse è il momento di mettere i puntini sulle i.

Gli ingredienti che vengono utilizzati da Picchione, sono tecnica, neuroni, apprendimento che si mescolano dentro la riflessione profonda del problema della scuola nell’era digitale, la responsabilità degli studi letterari e l’evoluzione bio-antropologiche e le trasformazioni identitarie. Nello sfondo del volume di Picchione troviamo un senso di disagio (della civiltà), di precarietà, di rovine e catastrofi, come del resto è lo scenario attuale della società contemporanea che si accascia con decadenza sotto al crollo della cultura, dell’etica e dell’estetica.
L’era digitale ci ha consegnato da un lato l’incredibile quantità di strumenti di accessibilità, reperibilità e velocità, dall’altro ci ha fatto smarrire quel senso di consapevolezza critica che un tempo era rara e preziosa.

Marshall McLuhan anticipa la comprensione dei media che mutano in maniera profonda la nostra esperienza di mondo, mentre Susan Sontag evidenzia gli aspetti di una omogeneizzazione culturale prodotta dai media elettronici. Walter Benjamin descrive in maniera esemplare l’epoca della riproducibilità tecnica e il suo shock si trasforma in overdose secondo Picchione.
Non neghiamo la vertiginosa comunicazione mediatica, la fluidità visiva, nonché la caratteristica che contraddistingue il presente, ossia l’ubiquità, la perdita delle coordinate spaziali e temporali a favore di una presenza-assenza che le nuove tecnologie ci permettono (positivamente e negativamente) di abitare.

Il corpo è il nucleo centrale di questo coinvolgimento elettronico, virtuale e aumentato. Persino i processi del pensare hanno modificato la loro traiettoria, proprio per questo nasce la preoccupazione di Picchione, dove l’unità del discorso logico sembra essersi smarrita sotto lo sgretolamento delle abilità analitiche e lo scadimento delle capacità di articolare i rapporti con il testo. Esiste in qualche modo un allentamento di tensione del raggiungimento dei significati. In questa visione pessimistica nei confronti del digitale ritroviamo anche il pensiero contemporaneo di Byung-Chul Han, il quale evidenzia l’aumento dei livelli di distrazione e l’incapacità di organizzare l’immensa quantità di dati (Big data), confermando un regresso delle competenze performative.
Ad essere sacrificato secondo Picchione è la qualità delle informazioni, ed ecco incombere la crisi dell’editoria, l’allontanamento del libro e tracce di anemia nella salute democratica.
I dispositivi digitali osservati sotto la lente d’ingrandimento di Picchione diventano mezzi ipnotici che conducono a forme di dipendenza massiccia, allontanando la realtà coperta da uno schermo freddo e nero (black mirror). Ed ecco che il corpo ritorna ad essere protagonista nella sua condizione precaria, frammentata, ed estraniata persino dalla facoltà di interazione e dialogo con l’altro. Picchione cita l’esempio del cyborg britannico, il primo caso in cui un dispositivo elettronico (un’antenna) impiantato nel cervello è stata riconosciuta come parte del corpo e identitaria. Neil Harbison, cittadino britannico, affetto da acromatopsia è riuscito a trasformare i suoni in colori, affinché egli potesse tradurre attraverso il senso luminoso le frequenze dei colori in vibrazioni diffuse nell’orecchio.

In questo Disagio della civiltà distopico c’è persino chi come Ray Kurzveil ipotizza la possibilità di scaricare i dati del nostro cervello dentro un hardware esterno.
Picchione pone senza remore di fronte al lettore (più o meno attento) uno stato di narcotizzazione tecnologica e nuove forme patologiche. Sicuramente lo scrittore italo-canadese mette in rilievo gli impatti, gli scontri con la cultura alfabetica evidenziando lo scarto, il gap generazionale tra i meno giovani, i quali con un cervello sono emigrati nello spazio digitale e i giovani il cui cervello è venuto a formarsi all’interno delle nuove tecnologie.
Ecco l’appello scorato di Picchione, quasi a voler essere una lettera dedicata ai giovani per recuperare la significazione profonda ed antica della letteratura, non relegandola come appendice marginale, bensì, inserendola dentro un dialogo stretto tra le complessità delle realtà umane. La letteratura dovrebbe assumere un ruolo di resistenza, di antidoto, solo in questo modo potrà svolgere la funzione di creare sospetti per una critica e un’autocritica profonda e necessaria.

Secondo Picchione, la penetrazione a livello neuronale da parte delle nuove tecnologie hanno colonizzato anche l’immaginario, modificando anche la psicologia umana e persino i desideri. L’università, così come la scuola non si è resa ancora conto del rischio, trasformando l’evoluzione culturale in una superficiale raccolta di dati.
I nuovi canali di comunicazione creano processi di ibridazione, impollinazione e contaminazione, dove l’alieno diviene familiare e la macchina supera le barriere linguistiche.
L’eccesso di stimoli provoca una desensibilizzazione, mentre le nuove tecnologie hanno assunto correlazioni sempre più intime tra potenziamento della cultura digitale e sviluppo del capitalismo globalizzato.
L’era del digitale sarà sorpassata da quella della fisica quantistica e dalle biotecnologie. Non sarà più la forma a prevalere, bensì la relazione comportamentale intercettata dalle tecnologie, registrata, tracciata, valorizzata nell’interscambio linguistico, culturale e sociale. Le società infatti sono sempre state plasmate dalla natura dei media e dalle tecnologie piuttosto che dai contenuti della comunicazione. È l’evoluzione delle protesi tecniche a costituire l’evoluzione dell’uomo (antropogenesi e tecnogenesi costituiscono un tutt’uno). I dispositivi tecnologici dispongono quindi di un “modo d’esistenza”. In altre parole la tecnica non tende a uno scopo, ma piuttosto essa funziona, è dal produrre (condurre alla presenza) che essa si fa ri-chiedere (Stellen, “porre richiedente”). L’uomo si pone così al centro di una mutazione, che deve essere intensa come quel senso di implicare tecnologie transpersonali, transpecifiche della comunicazione, della condivisione, dello scambio e della collaborazione. Picchione ci invita a non perdere il senso critico e la crescita emotiva recuperando quel senso di eccitazione del vivere, ritornando a celebrare quell’umanesimo svestito dalle protesi post-umane, sviluppando così una profonda educazione letteraria ancora in qualche modo legata alle radici celebrali terrene ed analogiche.

La prima stesura di questo saggio col titolo di Letteratura ai margini? Considerazioni teoriche e didattiche è stata presentata al convegno “What’s Next” presso l’Università di Toronto nel 2008. Proprio sulla questione del futuro prossimo (Cosa c’è dopo), si regge la domanda più ambiziosa e di difficile soluzione, ecco perché non credo che ci sia una risposta univoca, ma sicuramente esiste la possibilità di riflettere e proporre nuove prospettive in direzione di quell’oltre, così vicino, così lontano. Non è una questione di tecnofobia o tecnofilia ma semplicemente, penso che Picchione provi a gettare una goccia in mezzo all’oceano digitale, con la speranza che quella goccia possa divenire vitale per posizionare il nostro sguardo in maniera più consapevole e critica e non lasciandoci assuefare dal potere “magico e ipnotico” delle creature “tecnologiche” e le realtà virtuali, per poter cavalcare l’onda della vita con la sua meravigliosa elettrizzante meccanica: un connubio poetico marginale.

Alla pagina http://noemalab.eu/ideas/essay/la-scrittura-il-cervello-e-lera-digitale-the-writing-brain-and-digital-age/ è disponibile anche l’articolo in inglese
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